La sovrapposizione di diverse emergenze, nel giro di meno di due anni, ha determinato una stratificazione di condizioni di disagio difficili da affrontare, dopo la lockdown economy, l’inflazione, la guerra nel cuore dell’Europa e una tempesta dei prezzi che colpisce le fasce più fragili del paese sia tra i cittadini sia tra le imprese.
Davanti a noi non abbiamo solo un problema di disuguaglianze, ma di polarizzazione fra chi è riuscito a contrastare e a resistere alle diverse ondate di crisi, e chi, già partendo da condizioni svantaggiate non è stato in grado di difendersi.
L’inflazione si presenta come fortemente selettiva nei confronti di chi non ha margine per compensare un’immediata perdita di potere d’acquisto a fronte di spese non comprimibili e strettamente legate alla possibilità di condurre una vita.
La geografia della povertà e del disagio economico e sociale tende oggi ad allargarsi anche ad aree della società ritenute, tradizionalmente, al riparo dal rischio di non poter disporre di un reddito sufficiente a mantenere uno standard di vita consolidato. Mentre scivolano sempre più in basso le fasce deboli del paese le famiglie più fragili e i pensionati. La crisi morde sempre di più la locomotiva del paese: le imprese, in particolar modo quelle meno strutturate, ma anche alcune medie e grandi sono a rischio default per l’esorbitante aumento delle tariffe energetiche. Crisi che hanno ricadute sull’occupazione, sul pil e sulla gestione delle linee di credito.
Accanto alla povertà come fenomeno strutturale della società italiana con 10 milioni di persone, acquistano sempre più rilevanza il fenomeno del “lavoro povero”, 4,9 milioni di lavoratori dell’insufficienza del reddito e, a causa dell’esplosione di prezzi e tariffe, i costi collegati alla casa utenze e mutui in primis, per finire ai 3,3 milioni di Neet giovani che non studiano e non lavorano senza un orizzonte di futuro.
Dobbiamo promuovere e realizzare un nuovo Umanesimo, non solo nell’economia. Un Umanesimo che sia la cinta di connessione, il motore di un paradigma di sviluppo differente che metta al centro la persona. Lo sviluppo è tale se è inclusivo e condiviso, Non lo è se amplia le diseguaglianze, se spacca territori, imprese e persone in chi ce la fa e si arricchisce e chi, invece, diventa sempre più debole e povero. Abbiamo bisogno di un’economia dal volto umano. Uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale, economico, ambientale e digitale. Dove il progresso e le opportunità siano al servizio delle persone e non viceversa.
Dal welfare all’agroalimentare, dal credito alla capacità di creare lavoro e occupazione, dalle cooperative di comunità ai workers buy out, dalle comunità energetiche alla gestione dei beni confiscati, dalla valorizzazione dei beni culturali alle risorse naturalistiche Confcooperative è in cammino al servizio del paese.